Nell’anno 1880 Rodin riceve l’incarico di realizzare una porta (porta dell’inferno…) per il Museo delle Arti Decorative in Francia, che poi abbandonerà e vi lavorerà brevemente finché non consoliderà il colossale lavoro che ne risultò nel 1917, ma fu solo nel 1925, otto anni dopo la sua morte, che furono creati due calchi in bronzo. Ci troviamo davanti alla più importante opera dello scultore, che farà da filo conduttore tra i movimenti di fine Ottocento e quelli del Novecento.





Il linguaggio scultoreo di Rodin sarà determinante per il successivo sviluppo dell’arte delle avanguardie e romperà con il discorso narrativo razionalizzato stabilito dal neoclassicismo. Le sue sculture sono caratterizzate dall’assenza di un angolo di visione corretto o conveniente, che interroga lo spettatore attraverso i gesti e il rilievo dei personaggi, a volte incomprensibili.
In quest’opera troviamo diverse parti influenzate da opere letterarie come la Divina Commedia, anche se si ribadisce la generale mancanza di evidenti corrispondenze. A capo del set Le tre ombre, che avanzano i principi contrari all’ordine classico contro una possibile rappresentazione delle Tre Grazie, come quella realizzata nel 1813 dallo scultore Antonio Canova (1757–1882). Rodin ci mostra la stessa figura, alterando l’idea tradizionale di equilibrio e significato attraverso la disposizione dei corpi e ciò che ne viene mostrato, tenendo conto delle informazioni invisibili.
Più in basso troviamo la figura del Pensatore, che sarebbe servita per la famosa scultura che elaborò in seguito.

I singoli motivi scultorei sono estratti dall’insieme generale dell’opera; alla porta li troviamo in uno sfondo che potremmo chiamare magmatico, dove i corpi si solidificano all’istante. Il trattamento delle superfici genera ambiguità nei gesti delle figure, ottenendo così una reinvenzione degli effetti sensoriali attraverso l’impronta personale dell’artista durante la modellazione.